lunedì 2 settembre 2013
Riaprire le “case chiuse”? Una questione di introiti e decoro urbano.
In questi giorni sta facendo discutere la raccolta di firme proposta dal sindaco leghista di Mogliano Veneto, Giovanni Azzolini, nata con l’obiettivo di racimolare in tutti i modi 500.000 adesioni per l’abrogazione parziale della legge Merlin.
Una grottesca intervista ci informa che il referendum chiederebbe di riaprire le “case chiuse” per due sostanziali ragioni: il decoro urbano e gli introiti statali.
L’ipocrita intento sarebbe, in definitiva, quello di cacciare le prostitute dalle strade, sottraendo la loro indecorosa e immorale visione allo sguardo dei perbenisti benpensanti e delle loro famiglie. Poiché le cose si fanno ma, probabilmente, non alla luce del sole.
In quest’ottica, la ghettizzazione pare la decisione più semplice, passata come “scelta di responsabilità”. Infatti, per il signore in questione, le “case chiuse” non potranno essere collocate in zone residenziali (e figuriamoci!) ma in zone industriali o artigianali. “Prendiamo il toro per le corna” sentenzia.
In poche parole la necessità sarebbe quella di tenere lontano la sacralità delle famiglie, e delle “donne per bene” che le fanno prosperare, dalle “donne per male”, facendo i giusti distinguo tra i due ruoli imposti che dividono il genere femminile.
Il secondo fattore da non tralasciare sarebbe quello economico, altrimenti detto: affrontare crisi e spending review sul corpo delle donne. Poiché la tassazione consentirà allo Stato-pappone di “recuperare le risorse non riscosse oggi dall’Imu sulla prima casa”. Deduzione logica, no?
Non contento, il sindaco ha la pretesa di travestire imprudentemente questa iniziativa da opera pia di protezione nei confronti delle prostitute perché “significa essere responsabili. Reperire risorse. Regolamentare il fenomeno e andare a fortificare con queste somme le politiche sociali anche per prevenire il fenomeno”. Quindi, paradossalmente, per questo confuso signore tassare la prostituzione risulterebbe funzionale alla raccolta di fondi e guadagni da impegnare per prevenirla? Un ragionamento che non fa una grinza!
Vale la pena ricordare che la riapertura delle case chiuse non è favorevole alle prostitute, soprattutto se sfruttate. Le case, infatti, rimarrebbero “chiuse” proprio per le donne che vi starebbero all’interno, costrette anche lì a pagare i magnacci legalizzati. Che queste donne siano schiave di sfruttatori o esercitino per scelta, di qualsiasi tipo di scelta si tratti, a questi signori, intenti a nascondere la sabbia sotto il tappeto, non interessa proprio nulla. Checché ne dicano.
Il sindaco ci rassicura, con una incomprensibile certezza, asserendo che sono tutte maggiorenni. “Alcune sono sudamericane, altre nigeriane, altre italiane, altre, il 60%, europee”. Albanesi e rumene, come dimostrano i dati. Ma nessuno ha chiesto loro che se nelle case chiuse ci vorrebbero andare.
Anche il paragone con gli altri stati europei non regge, prima di tutto perché questi redentori non si danno certo la pena di andare a verificare direttamente quello che succede realmente all’interno delle altre nazioni e, secondariamente, perché la deriva della cultura italiana, traghettata dal principio della doppia morale, presenta peculiarità che non ritroviamo negli altri stati europei, tra cui la rappresentazione della sessualità femminile nell’immaginario collettivo e lo stigma nei confronti di chi si prostituisce.
Il controllo sanitario delle prostitute per accertarne il pedigree, inoltre, si traduce in un’oppressione patriarcale e fascista necessaria a chi vuole proteggere esclusivamente la salute dei padri di famiglia, delle loro mogli e i dei loro figli. “Se oggi andiamo in palestra ci chiedono un certificato di sana e robusta e costituzione. Per le prostitute, nonostante i rischi, questo oggi non è richiesto.”. Ma perché mai allora non si parla di richiedere un certificato “doc” ai clienti? Perché è normale considerare “sporche” e “malate” le prostitute e non i brav’uomini che ci andrebbero lontano da occhi indiscreti. Se un uomo malato può contagiare una prostituta a nessuno importa, mentre una prostituta che può contagiare gli integerrimi padri di famiglia diventa invece un problema, in un vortice di ipocrisia senza eguali.
Insomma, Giovanni Azzolini ha deciso di passare dalle multe a clienti e prostitute e dai cartelli provocatori “con raffigurate donnine in minigonna e tacchi alti con la scritta ‘Pericolo’” alla raccolta di firme per la riapertura delle “case chiuse”, dichiarando che a richiederla sono in maggioranza donne, anche “signorine molto giovani”, come se questo particolare lo preservasse da qualsiasi critica e dovesse portare noi donne a far fronte comune solo in quanto appartenenti ad un determinato genere sessuale. Se sono d’accordo anche “le donne”, allora…
La domanda pruriginosa nel finale dell’intervista non poteva certo mancare. Ed ecco che viene chiesto al sindaco se lui, a prostitute, ci è mai andato. Scontata la risposta: no. Ma… “Se fossi nato qualche anno fa forse ci sarei andato.”. D’altro canto la prostituzione non è per lui un fenomeno complesso ma risolvibile banalmente, da intendere come “una tradizione veneta. Una sorta di iniziazione del ragazzo”. Una tradizione. Un rito di passaggio. Per i giovani maschi veneti.
Dulcis in fundo, a chi mai si potrebbe chiedere un parere sulla questione e sul referendum? Alle associazioni di vittime ed ex vittime di tratta? Al comitato per i diritti civili delle prostitute? Macché, alla Chiesa locale, che si trincererebbe dietro ad un ipocrita “silenzio assenso”, lavandosene le mani, come Ponzio Pilato.
D’altronde il sindaco sostiene che la questione vada oltre le appartenenze politiche. Ed è vero. Sono diverse le forze politiche che appoggiano il referendum, anche pd e pdl: molti sindaci, infatti, hanno portato avanti diversi provvedimenti in questi ultimi anni nell’ottica del decoro urbano. Quindi questa iniziativa vedrebbe d’accordo tutti quanti. Tutti tranne le dirette interessate.
Il nostro no di collettivo va infatti oltre le considerazioni riguardanti il tema della regolamentazione che divide il femminismo, schierandosi con le prostitute che, da una parte e dall’altra, vi si oppongono.
28 agosto 2013 Da Un Altro Genere Di Comunicazione
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