Il board di Twitter? Tutti uomini (bianchi). Gli investitori? Idem. E stesso discorso per gli amministratori delegati. Con l’eccezione di Vijaya Gadde, unica donna nel consiglio di amministrazione.Il New York Times, a poche ore dall’avvio delle procedure per lo sbarco a Wall Street di Twitter, affonda il dito nella piaga. E tocca uno dei nervi scoperti della Silicon Valley, il sessismo.
L’attacco non dovrebbe stupire più di tanto se si pensa che la stessa Wall Street non è certo accogliente con le donne (qui un interessante articolo dell’Atlantic). E il pubblico italiano non si stupirà più di tanto nel sapere che una società così importante non dia spazio alle competenze femminili. Qua ci siamo abituati. Ma se in Italia di fronte al problema per lo più facciamo spallucce, negli Stati Uniti stanno prendendo questa discriminazione molto sul serio.
E’ la mafia di Twitter, scrive – ironia della sorte su Twitter - Vivek Wadhwa, ricercatore allo Stanford Rock Center for Corporate Governance che sta lavorando a un libro sulle donne nel mondo del tech. Wadhwa attacca l’arroganza dell’elite della Silicon Valley che sistematicamente tiene le donne fuori dalla porta in uno dei pochi settori in crescita.
In realtà quello che più dà fastidio al pubblico democratico americano è la questione di merito. Un’azienda che non premia policy di gender equality al suo interno non dovrebbe essere favorita nella sua scalata verso l’Ipo. E non è solo un discorso di quote rosa. Le donne, secondo uno studio del Pew Research Center – usano i social network esattamente quanto gli uomini, se non di più. Eppure solo il 5.7 per cento degli impiegati nel settore è di sesso femminile. E solo il 2% delle donne si diploma in informatica.
Sono le stesse donne a tenersi alla larga da questo campo, considerato generalmente territorio dei nerd uomini. Difficile capire dunque se siano loro stesse ad autoescludersi o se sia l’ambiente che le respinge.In realtà le donne nella Silicon Valley ci sono. Esempi lampanti sono Marissa Mayer e Sheryl Sandberg, d’accordo. Ma per lo più ricoprono ruoli amministrativi, lavorano negli uffici stampa o nelle risorse umane. Quasi mai stanno tra i programmatori che ideano algoritmi o interfacce. Non sono dunque nella vera stanza dei bottoni, quella dove nascono le idee e i progetti che stanno cambiando le nostre vite.
Il problema, per lo più culturale, venne sollevato perfino da Randi Zuckerberg, sorella inquieta di Mark, il fondatore di Facebook, che spiegò: “Da bambini a lui davano i videogame, a me le bambole”.
Il gap non va giù a tanti e stona con i proclami femministi di Sandberg, diventata bandiera del femminismo con il suo manifesto Lean It. E non solo. Si festeggia la giornata dedicata ad Ada Lovelace (quest’anno cade il 15 ottobre), considerata la prima programmatrice della Storia. E si portano avanti iniziative come Girls Who Code. Ma ai proclami non seguono i fatti dei Ceo.
Perché non assumete donne, è la domanda di tanti?Dick Costolo, amministratore delegato di Twitter, dopo le prime titubanze, ha risposto agli attacchi del New York Times. O, meglio, ha accusato chi lo criticava di non avere le competenze per farlo e ha replicato ad una polemica sui contenuti con una polemica di forma. “Non voglio gestire la questione come se stessi solo spuntando una casella”, ha detto. Parole che non sono piaciute per niente alle americane. E che rischiano di danneggiare parecchio l’immagine di Twitter, che ha fatto della libertà e della democrazia uno dei suoi punti di forza.
Non a caso, infatti, il Time ha sentenziato: “Twitter senza donne nel board rischia il fallimento”.
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