martedì 18 dicembre 2012

Disturbi alimentari e immagine femminile: un connubio controverso



Disturbi alimentari e immagine femminile: un connubio controverso di Raffaela Vanzetta 

Per anni si è discusso in maniera controversa, se i Disturbi del Comportamento Alimentare (in seguito DCA) fossero o meno causati dalla rappresentazione della donna nei mass media. È un dato di fatto che a soffrire di DCA sono al 95% donne, e che i DCA compaiono soprattutto nei paesi industrializzati, però le donne che soffrono di DCA e con loro molti medici e terapeuti, si oppongono ad una teoria che le accusa di essere influenzate dalle immagini di modelle magre. È una spiegazione troppo riduttiva per aiutare a comprendere un fenomeno così complesso come i DCA.

Esiste dunque un collegamento tra l’immagine mediatica della donna e i DCA?

Nel 1999 fu presentata una ricerca fatta dalla Dott.ssa Anne Becker (un'antropologa dell’Harvard Medical School’s Department of Global Health and Social Medicine) sul cambiamento di attitudini verso il cibo e l'ideale corporeo delle adolescenti delle isole Fiji'. Le isole Fiji sono tra le più isolate del mondo, dopo le isole Hawaii e poche altre.

Fino agli anni ’90 sulle isole Fiji non esistevano i Disturbi Alimentari. L’ideale di bellezza femminile era un ideale opulento. Mostrare una certa formosità per le donne era segno di benessere e femminilità. Differentemente da quello che usiamo fare noi, alle isole Fiji le donne si regalavano vicendevoli complimenti dicendosi: “ti vedo ingrassata” .

Alle isole Fiji non esisteva la televisione. Nel 1995 fu impiantata una stazione televisiva che da subito mandò in onda le serie televisive più seguite negli USA e in Europa. 

Solamente tre anni più tardi l’incidenza di DCA nell’arcipelago aveva raggiunto livelli più alti di quelli europei ed americani. Le ragazze giovani non apprez-zavano più la robustezza gradita alle loro madri, ma ambivano ad essere sottili e slanciate anche a caro prezzo.


L’equipe di Anne Becker intervistò un campione considerevole di ragazze adolescenti. Il 74% dichiarava di percepire il proprio corpo come “troppo robusto e grasso” e il 15% dichiarò di ricorrere a vomito autoindotto per controllare il peso.


In Alto Adige è il 51% delle ragazze tra gli 11 e i 15 anni a ritenersi troppo grassa, ma solo il 7,6% ad essere effettivamente sovrappeso.
Il 24,6% delle ragazze tra i 12 e i 25 anni ha un BMI (indice di massa corporea = rapporto tra peso e altezza) inferiore a 20, secondo i canoni medici è quindi sottopeso.

Questi dati sono tratti dall’indagine sui giovani dell’ufficio di statistica altoatesino del 2009 e dallo studio HBSC del 2010, studio che riporta un altro dato preoccupante: un terzo delle ragazze 15enni ha già fatto una dieta per dimagrire.

Che sia riduttivo accusare tutte queste donne di ambire semplicemente ad essere belle secondo un canone di bellezza che idealizza la magrezza, pare abbastanza evidente. Però forse le immagini che ci vengono mostrate dai media non idealizzano solamente un canone estetico, ma trasmettono anche altro.



Lavorando con ragazze e ragazzi nelle scuole, cercando (e sperando) di fare prevenzione ai disturbi alimentari, noi del Centro per i disturbi alimentari INFES di Bolzano osserviamo ed analizziamo le immagini.
Mostriamo la loro uniformità, che va dalle forme del viso, ai denti, alle forme del corpo, che non permettono varietà alcuna.

  
Mostriamo la loro artificialità, che crea una perfezione inesistente nella realtà, ma che ci fa sentire imperfette, inadeguate, insufficienti.

Due importanti studi fatti pochi anni fa negli Stati Uniti e in Germania hanno rilevato i cambiamenti di umore legati ad alcune attività. Lo sfogliare una rivista femminile causa nell’80% delle donne un abbassamento di umore. Vedere immagini di una perfezione fisica, alla quale non corrispondiamo, ci rende scontente e insoddisfatte. Quindi pronte a fare di tutto (soprattutto a spendere soldi) per cambiare.

Le immagini che ci circondano, ci tramandano anche un’idea di bellezza sessuata e fatta oggetto. Il corpo femminile è usato per rendere sexy ed appetibile qualsiasi prodotto, dal latte ai cerchioni dell’automobile.

Ed è usato per diventare il prodotto stesso. La bottiglia di una birra o parte di una playstation.

Far sembrare una persona un oggetto è il modo migliore per giustificare qualsiasi tipo di maltrattamento o violenza contro quella persona. Il rendere non-persone è sempre stata anche nella storia la giustificazione per qualsiasi scempio. Il razzismo, la schiavitù o l’olocausto sono stati giustificati definendo i neri o gli ebrei delle non-persone.

Le immagini pubblicitarie vanno anche oltre, dipingendo la violenza nei confronti di una donna come cosa attraente, trendy quanto un paio di jeans.

Sfogliando i giornali si trova veramente di tutto. Ed è altrettanto appassionante osservare con lo stesso sguardo la TV. Lorella Zanardo ci ha offerto una bellissima analisi della rappresentazione femminile (e maschile) negli show televisivi italiani. Sarebbe interessante osservare con lo stesso sguardo le serie televisive americane di cui si riempiono gli occhi le nostre figlie e figli, da “casalinghe disperate” a “How I met your mother” o “Scrubs” e capire quale immagine di donna e di uomo ci trasmettono.

Timm Grams, professore di elettrotecnica all’Università di Fulda (BRD) e autore di diversi testi sul rapporto tra elettrotecnica e pensiero, scrive: ”Le immagini hanno un potere dogmatico, perché agiscono escludendo il pensiero cosciente, che sarebbe in grado di analizzare e pulire un’informazione. È per questo motivo che chi vuole creare un’opinione o manipolare un modo di pensare, lo fa attraverso le immagini”.

Rance Crain, caporedattore della rivista per pubblicitari Adversiting Age spiegando come funziona la pubblicità, ha scritto che solo l’8% dei messaggi visivi è recepito dal pensiero cosciente, mentre il resto viene elaborato e rielaborato nei meandri più profondi del nostro cervello. (Adversiting Age 1999)

Udo Pollmer, un chimico degli alimenti e autore di molti libri in cui mette in discussione diete e consigli alimentari, spiega: “Le immagini sono esageratamente potenti. Non possiamo mettere in discussione i canoni di bellezza in modo cognitivo. Possiamo riuscirci solamente, mostrando immagini diverse“ (U.Pollmer, intervista a Emma, dic.2006).

Ora, qualcuno che offre immagini alternative, lo troviamo anche nei mass media. Sono però gocce nell’oceano. C’è la ditta Dove, che da anni pubblicizza creme e bagnoschiuma mostrando donne e uomini di diversa misura ed età:

C’è la body shop, che ha lanciato un messaggio pubblicitario in controtendenza, dichiarando che su 3 miliardi di donne, soltanto 8 hanno le misure da top-model.

La rivista germanica Brigitte dal 2010 fa i suoi servizi pubblicitari senza modelle di professione, ma con lettrici scelte attraverso il loro sito. E ora anche in Italia questa prassi è stata ripresa dalla rivista Donna Moderna, che scrive in copertina di offrire moda solo con donne vere. 

Purtroppo sono ancora esili tentativi di cambiare una cultura molto radicata. La maggior parte delle riviste, delle pubblicità, delle griffe di moda continuano a restare attaccate ad un uso dell’immagine femminile che trasmette un’idea di donna ben precisa.
Ma qual è quest’immagine che soprattutto le ragazze più giovani assorbono come spugne?

Lavorando con le ragazze e i ragazzi nelle scuole, cerchiamo di riflettere sui messaggi subliminali che ci vengono trasmessi dalle immagini di donne e uomini nei media. È importante dare ai/alle giovani strumenti di analisi e critica che permettano di prendere coscienza e di opporsi ad una possibile strumentalizzazione.

Riporto qui di seguito un elenco redatto da una classe di terza superiore, di messaggi subliminali che secondo loro ci arrivano dalle immagini dei mass media: 

Devi essere perfetta 
Devi essere magra 
Per avere successo, devi essere giovane, magra, bella e seducente. E perfettamente rasata. 
Il tuo corpo è perennemente sottoposto a giudizio 
Devi sembrare una bambina, debole e vulnerabile, ma essere disponibile al sesso, organizzare perfettamente casa, figli e lavoro 
Chi è sovrappeso, è sfigata, è pigra, manca di forza di volontà, suda ed è sporca. Ed è colpa sua. 
Se sei magra, sei sana. Se sei grassa, sei malata. 
Se non riesci ad essere bella e perfetta, te ne devi vergognare. 
Se sei maschio devi essere forte e muscoloso e anche un po’ violento 
Se sei maschio, hai una sola cosa in testa e bastano un culo e due tette per catturare sempre e comunque la tua attenzione. E convincerti a comprare qualsiasi cosa.
Non dobbiamo poi dimenticare che i mass media, oltre a dare un’interpretazione e rappresentazione del corpo, danno anche un’interpretazione e rappresentazione del cibo. Il cibo è spodestato dal suo ruolo principale di nutrimento, mentre gli vengono affibbiati diversi altri ruoli: incentivare la digestione, accelerare il metabolismo, favorire il dimagrimento, far risparmiare tempo, permettere di rilassarsi, ravvivare una serata o anche renderci più erotiche ed attraenti…

Vediamo quindi che l’’influenza culturale a cui sono sottoposte le giovani e i giovani, non si limita alle immagini di corpi magri. Viviamo in una cultura in cui la magrezza rappresenta molto di più che un canone estetico: è simbolo di successo, di salute, di autocontrollo e autodisciplina, quindi di bravura. Attraverso l’estetica del corpo esprimiamo un mondo, nel quale vengono proiettati valori, peculiarità, caratteristiche personali, appartenenza sociale.

Il bombardamento mediatico e culturale ha dunque un effetto “patoplastico” per lo sviluppo di DCA, e cioè indirizza l’espressione del disagio giovanile, che ha tante e molteplici cause, verso il corpo e, soprattutto verso la sua apparenza, promuovendo l’idea che la magrezza (o la muscolosità) costituisca un indubbio valore distintivo, in grado di ridurre le insicurezze tipiche dell’età adolescenziale.
I soggetti più suscettibili a questo tipo di richiamo sono donne giovani o giovanissime con una bassa opinione di sé e dunque spesso insicure, che vedono nel raggiungimento di un basso peso e di una più accettabile forma fisica la soluzione degli insuccessi e dei disagi della loro vita. Chi sviluppa un disturbo alimentare dunque non è spinto esclusivamente da motivazioni socioculturali (tutti noi infatti siamo bersagliati ogni giorno da messaggi di questo genere, ma solo una minoranza sviluppa un disturbo), ma nasconde spesso sottostanti profondi fattori psicologici di disagio.

Un’ interessante spiegazione dell’influenza dei fattori culturali sui DCA la dá Marya Hornbacher, una giornalista americana che ha raggiunto fama mondiale con la sua autobiografia, nella quale racconta la sua vita con la bulimia e l’anoressia: “Benché la personalità di chi soffre di questi disturbi rivesta un ruolo importantissimo [...] benché la famiglia rivesta un ruolo abbastanza cruciale [...] sono convinta che [...] l'ambiente culturale abbia una responsabilità uguale se non maggiore. Avevo a disposizione diversi metodi di autodistruzione, [...] milioni di modi in cui avrei potuto reagire ad una cultura che trovavo altamente problematica. [...] Ho scelto un disturbo dell'alimentazione. Non posso fare a meno di pensare che se fossi vissuta in una cultura dove la magrezza non è considerata come un particolare stato di grazia forse avrei cercato un altro mezzo per raggiungere la grazia.» (tratto da "Sprecata" di Marya Hornbacher).

Raffaela Vanzetta
Psicoterapeuta,
coordinatrice di Infes, Centro per i Disturbi del Comportamento alimentare di Bolzano

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